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Lui & Lei

Parigi, il ritorno


di amichetta
27.07.2018    |    414    |    0 9.2
"°° Un sapore salmastro che ben conoscevo..."
Eravamo di tardo pomeriggio e avevo con me la valigia essendo in attesa della mia fiancheggiatrice la quale mi aveva scortata nel viaggio di andata e, che secondo gli accordi presi mi avrebbe recuperata per poi tornare assieme in Italia. Mancavano circa quattro ore alla partenza dell’aereo ed ero in attesa impaziente nello stesso immobile in cui si era svolta la sfilata. I miei impegni erano terminati e ammazzavo il tempo aiutando la manovalanza che smontava le impalcature per conto della ditta per cui tutti lavoravamo. Quando attraverso gli uffici dello stabile arrivò una notizia che mi riguardava e, improvvisamente tutto cambiò. Una giornata che avrebbe dovuto essere tranquilla si trasformo in qualcos’altro, un giorno che non dimenticherò mai, un momento che si è inciso tra i miei ricordi e lentamente si è fatto indelebile. Alla mia patrona era sorto un inaspettato impegno e avrebbe dovuto restare a Parigi per qualche giorno ancora per cui io avrei dovuto, per quanto riguardava il viaggio di ritorno arrangiarmi da sola. La notizia mi procurò un brivido lungo la spina dorsale. Avrei dovuto chiamare un taxi, farmi accompagnare all’aeroporto, sbrigare tutte le faccende tipo il chek-in e varie. Operazioni banali per chi ne è pratico, ma tragiche per una esordiente, emotiva, una debuttante che in materia di viaggi era alle primissime armi.
La poca conoscenza che avevo allora della lingua francese e la totale inesperienza di aeroporti, l’inatteso imprevisto fece tanto che all’improvviso mi sentii sprofondare in un mare di catrame e per quanto sbracciassi non riuscivo a stare a galla.
Lo stesso operatore che mi aveva dato la calamitosa notizia continuò col dirmi: ## che c’è? sei rimasta imbambolata, ti vedo a pezzi.## Non potevo confessare ciò che provavo, cosi biascicai quello che mi venne sulle labbra,-- è che non mi va di viaggiare da sola.-- ## Ha! be’! ti posso offrire una scappatoia, se non ti disturba viaggiare in strada anziché su di un aereo e tornare con un giorno di ritardo potresti ritornare con noi. La motrice è comoda e attrezzata, un posto in cabina te lo troveremo. ## La tragica notizia si ammorbidì, ma io volli iniziare con qualche chiacchiera innocua prima di sganciare la mia risposta e fingere di meditare sulla sua proposta. --Non so che dire! ci devo riflettere, mi lasci il tempo necessario per valutare.-- Ci riflettei per tutto il tempo necessario, cioè mezzo secondo. Ma non lo diedi a vedere. Con tono quieto come se fossimo vecchi amici gli chiesi quando saremmo partiti e quando saremmo arrivati e altre informazioni riguardanti il viaggio. Poi conclusi che, non avendo precisato quando sarei tornata a casa, e nessuno mi stava aspettando, per cui il ritardo non avrebbe avuto conseguenze e per me sarebbe stata una nuova esperienza di viaggio, una conoscenza che mi sarebbe servita per le trasferte future. Feci fatica a digerirla, ma non ho saputo esimermi alla sua proposta. --Va bene, accetto.-- Esclamai. ## Bene! allora dovresti andare qui dietro, nell’ufficio, e dovresti telefonare all’aeroporto per disdire la prenotazione.## Il silenzio improvvisamente foderò lo spazio tra me e lui e io mi sentii pietrificata dalla paura. Dopo l’euforia del pericolo scampato ero di nuovo smarrita.
Balbettai, --è, è che io non so, non so bene, non so esprimersi in francese-- Il suo tentativo di sollevarmi il morale cadde nel vuoto. ##Va bene! ho capito! dammi il biglietto che ci penserò io.## In un silenzio claustrale dal mio sguardo trapelò un muto ringraziamento. Dopo alcuni minuti fu di ritorno in compagnia del suo collega che nel frattempo lo aveva avvisato che mi avrebbero avuta a bordo come passeggera. L’altro, il collega, il più giovine, mi sorrise come se fossi la benvenuta a bordo accolta da grande entusiasmo. Colsi ballare una luce strana nel suo sguardo. Alzò gli occhi per appoggiarli dentro a quelli del collega come se volesse condividere un segreto. °° Ma allora non sai proprio niente.°° Mi sentii diventare gli zigomi rossi. Poi continuò. °° dovremo insegnarle proprio tutto.°° Le sue labbra disegnarono il tipico sogghigno di chi sta per vincere la partita dato che la vittima, cioè io, avendo disdetto la prenotazione non poteva più sottrarsi alla sua mercé. Le mie palpebre incominciarono a traballare, mi divennero rosse anche le orecchie. Temetti di essermi gettata nel tritacarne dei due imprevisti e imprevedibile soci. Ma poi, ponderando sulla nuova situazione che si stava profilando, mi tranquillizzai. Erano da anni dipendenti veterani tuttofare, uno sui quaranta e l’altro un po’ più anziano, ammogliati con figli, una reputazione e un lavoro da salvaguardare. A parte lo smacco, volli convincermi che non avrei avuto nulla da temere. Ormai tutto era predisposto, dovevo solo avere pazienza. Dopo un paio d’ore di snervante attesa venne il momento della partenza. Caricarono la mia valigia nel cassone posteriore ma tenni con me la borsetta contenente solo i pochi oggetti indispensabili. Mi accompagnarono alla motrice indicandomi la brandina, il posto in cui io avrei dovuto insediarmi. Salii nella cabina e appena dentro superai un paio di scalini e balzai sopra alla cuccetta come una gatta selvatica. Non ero vestita in modo adatto all’occasione. Indossavo una camicetta di seta rosa senza reggiseno che sfolgorava invitante sopra il seno ad ogni mio respiro e una gonna corta di lana pettinata con scarpette basse che mettevano in risalto le gambe. Indumenti più appropriati a un viaggio in aereo che per una cabina di un autotreno gestito da due rozzi camionisti. Entrambi salirono e il motore si mise in moto. Il viaggio di ritorno conobbe il suo abbrivio. Io rimasi seduta sul bordo della cuccetta, tra i due autisti, potendo partecipare visivamente alla viabilità del traffico. Arrivati all’ingresso dell’autostrada notai per prima cosa la differenza delle indicazioni stradali che erano blu anziché verdi. Era la prima volta che salivo su un bestione di quelle dimensioni. Quello che mi sorprese fu la sua personalizzazione. Là dentro sembrava esserci la loro vita. Il rumore sembrava essere assordante, ma mi abituai e il viaggio stava diventando monotono. Il rullio del camion contribuì al rilassamento, un rombo, un ronzio che pareva salutare, tanto che mi stesi e dopo poco i pensieri incominciarono a confondersi fino a perdersi in un sonno profondo. Non saprei dire dopo quanto tempo, ma un fastidio mi molestava. Sembrava essere tutto un sogno, ma quando il fastidio divenne troppo molesto, “sogno o son desta?”-finché fu troppo reale-e mi svegliai-, aprii gli occhi e che vidi? Uno dei due autisti, quello più giovane, che al momento non era al volante si era portato a me appresso e mi stava strusciando con le dita una coscia. L’ho guardato come una lepre abbagliata dai fari di un’auto. 2 Ho racchiuso le gambe tra le braccia appoggiandoci sopra la testa. Aveva dell’incredibile: anche se era un po’ che i sospetti aleggiavano sulla sua figura. --Ma che fai! sei ubriaco?-- °° Bhe! non direi, scusa se ti ho svegliata, eri così carina mentre dormivi, ma la mercanzia che mettevi in mostra mi ha forzato la mano.°° Non sembrava affatto dispiaciuto. --Cosa credi? non sono mica una statua.-- °°Hoo, su questo non ho dubbi, l’altra notte ti ho ascoltata e sembravi così ben disposta che una strusciata pensavo l’avessi gradita.°° Il mio cervello ancora mezzo addormentato, ebbe qualche problema ad elaborare l’informazione. --Cosa intendi dirmi? sei impazzito? è uno scherzo vero?-- Poi i miei pensieri si schiantarono uno sopra l’altro. Una sensazione di impotenza era calata la dentro. Eppure a me era sembrato che avessimo preso tutte le precauzioni: Dio santo, ma dove avevo la testa quella notte! Mi venne subito la risposta: nell’alcool al quale ero astemia. °° Hai una idea del magone che dovrebbe ingoiare il tuo ragazzo se venisse a saperlo? tappezzerebbe la fabbrica col tuo nome e la parola accanto: traditrice! per non usare altri epiteti, e non sarebbe una iperbole.°° Del dissidio col mio ragazzo lui non ne era ancora a conoscenza. --Tu sei pazzo! dici cose che non esistono e non sei affatto divertente.-- Ribadii.
Poi rimasi zitta fissando il vuoto. Lui continuò. °°Per non tener conto dei tuoi genitori.°° --Ti stai sbagliando, io non centro proprio per niente. A quale notte ti riferisci? dopo il viaggio ero molto stanca e sono andata subito a letto e questo vale anche per la sera successiva.-- °°Ragazza faloppa, ti abbiamo chiamata al telefono per chiederti se volevi uscire con noi, poi preoccupati per il tuo ostinato silenzio ci siamo preoccupati e abbiamo bussato alla porta ma tu non hai dato alcun segno di vita.°° Ormai avevo mentito e per tenere in piedi il castello di carta dovetti inventarmi altre frottole. Insistetti, --forse ero in doccia e non ho sentito.-- °°Ancora menzogne, di la verità! dilla! eri con quello! uno sconosciuto, non sapevi nulla di lui ma ti sei fatta abbordare perché lo conoscevi solo di fama e hai voluto accertarti che le dicerie sui suoi attributi parificavano la sua nomea di cavallo da monta. Prima lo conoscevi solo per sentito dire, ora che sei stata insieme a lui per tutta la notte, ora che ti sei lasciata lisciare ogni centimetro del tuo corpo, che l’hai visto e provato raccontaci come è andata.°° --Stare insieme in che senso!-- °°Nel solito senso.°° Ma la sua provocazione finì solo per amplificare la sua fama. E non era a conoscenza dei suoi attributi da sodomita incallito, per cui dovetti presumere che non sapevano neppure delle mie colleghe che mi avevano preceduto, le quali passando sotto i suoi ferri del mestiere fossero state tutte delle rotte inculo. Un momento di pura e rinfrancante contemplazione in cui il dolore e piacere si erano posti faccia a faccia. Se avessi avuto il tempo necessario a disposizione avrebbe concluso anche con me un opera meritoria, nel mio interesse e completata ad arte. Il viso dell’uomo si animò. °° Dimmi se sei nata con questa empatia per gli uomini o lo sei diventata con gli anni.°° Il nostro stava diventando un dialogo incandescente che aveva dell’incredibile. Nonostante il suo interrogatorio e la sua pressione psicologica io ero determinata a seguire la stessa rotta. Avrei negato fino all’estremo delle forze. Ero intenzionata a non lasciarmi intaccare la mia immagine che da sempre tentavo di impersonare di ragazza virtuosa, seria e sobria. Ma anche il candore finiva sempre per congiungersi alla depressione, perché incontravo sempre qualche rozzo, qualche sgarbato con la facoltà di raccogliere un fiore e metterlo in un vaso da camposanto. Ma ancora non riuscivo a captare il suo gioco che non pareva di seduzione ma di semplice predicozza fino a quando l’altro collega che era al volante, rivolgendosi al suo compare esordi con: ##rallegrati, se non altro quando tornerai a casa avrai qualcosa di piccante da raccontare a tua moglie.## A quella frase mi irrigidii come se mi avessero frustata. La moglie era una operaia che lavorava nella stessa nostra ditta, una intrigante, una dalla prolissa loquacità che metteva il becco dappertutto, una ignorante che sembrava discendere non dalla scimmia ma dalla gallina. Una rovistatrice di pettegolezzi con l’attitudine alla denigrazione. In una manciata di ore la notizia si sarebbe diramata non solo nel perimetro della fabbrica ma in tutto il paese. E questo dovevo impedirlo ad ogni costo. Se fosse successo sarei precipitata dalle stelle alle stalle. Una caduta di stile che non mi potevo permettere. Ne avevo dedotto che stavo per cadere nella macina del ricatto. E non sarebbe stata la prima volta. Una situazione che mi auguravo non si ripresentasse mai più. Ignoravo il perché di quella scelta, ma mi sento di affermare che non era necessaria. Per quale motivo, se mi voleva fottere, non mi avesse convinta con gioco di allettamenti e lusinghe da cui ero vulnerabile, fatto da intese, ammiccamenti e moine al latte e miele. Ne dedussi, con valide ragioni ma ancora senza certezze, che di fatto mi considerava una preda appetitosa e stuzzicante, ma chimerica, considerando la nostra differenza di età e i suoi vincoli coniugali. Egli non poteva sapere né immaginare che in realtà scopavo con un uomo più attempato di lui, il quale oltre che essere amante era anche un dolce amico a cui raccontavo i miei sogni. E ignorava anche che a mesi alterni mi recavo dal ginecologo il quale aveva più capelli bianchi che stelle nel cielo e il più delle volte mi scopava col cazzo perduto, ma con quel tocco di originalità che è specifico del maestro che conosce la navata cavernosa non solo dal di fuori ma anche dal di dentro. Ma qui andiamo sul sofisticato e richiederebbe un capitolo a parte, per cui e meglio che non divaghi e torni al racconto. Il gallinaccio debuttò con una iniziativa clamorosa. °°Non pensi che il viaggio sarebbe troppo noioso se nulla cambiasse. Non ti va di divertirti un po’°° --Perché tu lo fai sempre? io non faccio certe cose-- °°Esatto, io lo faccio sempre quando posso, fino a spegnermi come una candela.°° La sua fu una frase anche troppo esplicita e vicina alla realtà. Mi sentii una protagonista di una odissea. Quello che mi stava accadendo era una possibilità che non avevo considerato, tuttavia non mi aveva sorpreso più di tanto. Se volevo che quella prima notte hard restasse obliata avrei dovuto cedere alla sua lussuria, ma se si aspettava una reazione entusiasta avrebbe dovuto aspettare a lungo. Mi sarei fatta desiderare, l’avrei tenuto legato a un filo, condizionato, minacciato a mia volta, una semplice soddisfazione come tante. °°Be’ una scopata in più o in meno cambierebbe qualcosa per te? °° In una atmosfera sospesa tra la calma e l’attesarimasi inchiodata lì, accovacciata sulla brandina temevo di non aver esposto per bene la mia tesi. Una amarezza che gravava sul mio intero mondo. Deglutii a fatica e gli chiesi: --perché mi fai tutte queste domande? io non ho fatto niente.-- °°E allora perché io non ti credo?°° --Vorrei solo sapere come fai ad essere così sicuro delle cose che hai insinuato--
3 °°Ok, tagliamo la testa al toro, ti ho spiata il mattino presto. Ti ho sentita e vista uscire dalla sua stanza in punta di piedi come una ladra, per cui è superfluo che tu faccia tante storie.°° Il suo era un ingranaggio semplice e reggeva perché ricco di dettagli per cui di fronte a una testimonianza inequivocabile il mio castello di sabbia precipitò. Un incubo sbattuto in faccia. Su quella prima trasferta io avevo puntato tutto, credibilità, carriera e non potevo permettere che la mia stoltezza fosse divenuta di dominio pubblico: -qualunque ne fosse stato il costo non poteva essere messa a rischio-. Ebbi un brivido quando lui si avvicinò a me avallato dalla certezza appurata dalle proprie orecchie e vista dai propri occhi che avevo tutte le caratteristiche della buon gustaia: se non della zoccola. Una che la dava via al primo arrivato, ed ora che ero sola con lui era giunto il suo turno e, come se fosse stato un suo diritto partì deciso ambendo di prendere il posto dell’altro. Sembrò stizzito quando con determinazione lo respinsi trincerandomi come in una fortezza. Pur avendo la sorte designata, ero decisa a resistere, fingere, recitare, mantenere un atteggiamento di ritrosia e di distacco. Anche se fosse arrivato a scivolare nella mia cripta sarei rimasta fredda e distaccata come l’asse da pasta che usava mia madre a fare la sfoglia. Lui sbottò: °°sguarldrinella! perché con me fai tante storie.°° . Prendendo un lembo d’aria anch’io sbottai: --perché io sono mia e alla mia età rivendico il diritto di gestirmi da me e di darla a chi mi pare! e tu non sei lui, capito?-- Quelle parole che mi erano sfuggite equivalsero ad una ammissione di colpa: ormai la frittata era fatta. °°Finalmente siamo arrivati a capirci, una scopata in più o in meno cambierebbe qualcosa per te? dove ne è passato uno ne possano passare anche due.°° A quella frase l’autista aggiunse:##hooosiii, anche tre.## All’esclamazione dell’autista a me si schiarirono le intenzioni pianificate con il loro piano ben congeniato. Non sarebbe stato un assolo suonato da un solo piffero ma bensì una diade di strumenti: e, ogni scopata sarebbe stata una sonata conclusa. Con un filo di voce dissi. --Sono troppo agitata, ho bisogno di una pausa.-- °°Partiamo daccapo, tu la stai prendendo troppo sul serio questa faccenda, per noi sarebbe solo sesso, ci divertiremo, renderemo il viaggio meno noioso, una avventura come tante che non scorderai più. Non hai voglia di distrarti?°° L’altro, quello al volante aggiunse: ##già, proprio così! abbiamo gli strumenti giusti solo per te.## La frase risuonò come il suono di una chitarra stonata. Ormai il sole era solo un ricordo recente. Pigolai una risposta cercando di esaminare con freddezza la situazione. --Capisco che dai retroscena avete dedotto che l’abbia fatto: ma non l’ho fatto! e non è una bugia. non saprei nemmeno dirvi con chiarezza cosa sia successo. mi è sembrato più facile mentire, sostenere il contrario per evitare che balzaste a una conclusione ovvia.-- Mi guardò come se non avesse mai visto una bambina così ingenua. Continuai. --Il mio è stato un errore, non dovevo fidarmi, per lui è stato un gioco, mi ha invitata a fare un giretto, mi ha comprato le pastiglie per il mal d’auto poi mi ha offerto una bibita per buttarne giù una e credo che fosse alcoolica: mi ha ubriacata, capite? adesso non voglio ripetere lo stesso errore con voi due lestofanti che non siete moralmente migliori di me. se mi volete dovrete usare la forza, non avrete mai la mia accondiscendenza.-- °°E preferisci che ne venga a conoscenza tutto il mondo del tuo misfatto?°° Il suo collega gli fece da eco. ##Vuoi che sia sollevato il polverone e finire sulla graticola? quando basterebbe unire l’utile al dilettevole?## La prima puntata si era conclusa e cresceva l’attesa per la prossima. In definitiva non avrei avuto scelte. Ipotizzando un rifiuto risoluto, mi vedevo già su di un carretto e trascinata da un bardotto alla gogna.
Avrei dovuto analizzare a fondo tutte le possibili varianti per trovare la più conveniente via d’uscita, introducendo qualche mia proposta, così avrei dimostrato di avere oltre la gnocca anche la testa. Ma io, poiché e bene ripeterlo, avevo già deciso; -ma tanto per chiarire il post scriptum- li osteggiavo perché pur fidandomi di loro, tanto da escludere la violenza, non approvavo il loro sistema di intimidazione messo in atto, e in più volevo salvaguardare la mia immagine pura e cristallina come l’acqua di un ruscello di montagna a cui tenevo tanto. Quasi piagnucolando gli implorai. --Siete due maiali! e io non sono abituata a cose sporche, e non so fare niente.-- ## Hhhooo per questo non devi preoccuparti, penseremo a tutto noi. Come ti ho già annunciato: abbiamo gli strumenti adatti a una ragazzina impostora e pervicace come te, vedrai, o meglio sentirai e ne restai sicuramente soddisfatta. perché quello che ne ricaverai e di quello che godrai non te lo porterà via nessuno. e chissà, forse ci sarà una prossima volta.## --Non ci sarà una prossima volta!-- ##E invece io penso di si!## Per loro dovevo essere un libro aperto, non riuscivo a nascondergli nulla. Ma il fatto che nell’arco di poche ore mi avessero detto di avere su di me idee deliranti mi aveva colpita molto, rendendomi insicura. Guardinga, gli chiesi: --Che cosa te l’ho fa pensare? se mi è consentito saperlo!--
##Ragazza mia: troia una volta troia per sempre!## E cacciò una risata sarcastica. Poi continuò: ##comunque la prossima volta sarebbe meglio incontrarci in albergo anzichè qui.## Chiusa in un mutismo indispettito non risposi, ma mi interrogai su quale fondamenta fosse costruita la sua certezza.
E quella affermazione mi fece venire i brividi, ma compresi che la pratica era avviata, quasi un contratto del quale bisognava concordare i dettagli. La compromissione fu la risoluzione che ci mise tutti e tre d’accordo. Quello che sarebbe accaduto su quel veicolo sarebbe rimasto un segreto tra noi tre; non ci sarebbero state rivelazioni scandalistiche e gli avvenimenti compromettenti sarebbero rimasti segregati per sempre dentro a quelle lamiere: “un bel tacere non fu mai scritto.” Nondimeno mi sfuggiva dove sarebbero state le differenze e dove erano le somiglianze tra la mia e la sua moralità.
In seguito si schiarirono meglio le intenzioni pianificate dal loro piano ben congeniato. Mi avrebbero fatta fuori per tutta la durata del tragitto a loro piacimento, facendo un uso e consumo del mio corpo. Con l’aggravante che quello che sarebbe stato uno stupro, una ricattatoria coercizione, sarebbe apparsa come una semplice e accordata relazione a tre, -il famoso triangolo-, con il mio lasciapassare, trasferendo a me la piena percezione di essere stata io a volerlo. Una regola mai scritta. Un espediente subdolo, ipocrita e ambiguo, ma sopraffino, che chi lo conosce di certo non lo tramanda. Ma che ci potevo fare? 4. La mia antitetica decisione magari l’avrei pagata cara, ma sapevo che sono sempre le novità a produrre le sensazioni più forti. E la prospettiva di essere scopata a turno da due uomini in rapida successione mi rievocò un evento raccolto dal catalogo delle mie ricordanze. Episodio che forse in futuro narrerò. Ma in quel momento aveva risvegliato in me l’esigenza di riprovare a rimettermi in sella. La mia speranza di riprovare gridava nelle mie viscere per ritrovare l’incanto di quell’emozione assoluta. Una emozione che per fortuna o per disgrazia non si era ancora prosciugata, e che nessuno era riuscito a reiterare. Forse i loro lussuriosi strumenti l’avrebbero restaurata. Mi trovavo ancora composta con le braccia conserte sulle ginocchia per proteggermi quando il galletto mi si avvinò. Le trattative erano finite ed era passato ad argomenti più prosaici. Io dovendo reggere per tutto il tempo della relazione le sembianze della vittima sacrificale mantenevo il mio atteggiamento frigido e riluttante. Almeno fino a quando c’è l’avrei fatta a resistere ai loro assalti. °°Adesso dovresti toglierti almeno le mutande°° --Mai e poi mai, nemmeno morta-- °°Che c’è? forse non hai capito bene il senso dell’impegno che ti sei presa. devi accettare la cosa. non vorrai che lo faccia io!°° Disse imponendosi la pazienza. --Ho paura, per me è una dimensione totalmente nuova, e non so se mi piacerà, non posso fare a meno di pensare a-- Mi interruppe bruscamente. °°Hai accettato i patti, non devi pensare, devi solo obbedire. ubbidiscimi e sarà molto più piacevole. per tutti e tre°° Mi fissava con occhi grandi e carichi di desiderio. Mi intimò: °°ti darò una ultima possibilità, togliti le mutande o lo farò io.°° Sentii il mio cuore accelerare i battiti. Esitai solo per un istante, poi emisi un lungo sospiro, poi, portai le mani sotto la sottana, infilai i pollici nelle fasce degli slip e lentamente li feci scorrere lungo le cosce mostrandomi timorosa e insicura nascondendo a lui, facilitata dalla penombra presente nella cabina, quello che c’era sotto al meglio che mi fu possibile. Arrivati alle caviglie li lasciai sotto ai miei piedi. Egli si avvicinò tentando di aprirmi le gambe, io le strinsi e mi ritrassi opponendomi energicamente. Lui comprese la mia ritrosia ed è ben determinato a spuntarla. Rivolgendosi al suo compagno disse. °°Ei! ha grinta la puttanella, scalcia come una puledra selvatica°° --Non sono una puttana-- °° Ma sentila la pulzella: però un po’ maiala la sei!°° L’altro suggerì: ##e tu domala, non pretenderai che mi fermi per darti una mano! tira fuori il merolone vedrai che si convincerà## °°Sì! mi pare una buona idea.°°Si diede subito da fare slacciandosi la cintura. --No! non farlo!-- Mi guardò stranito ma continuò. °°Che c’è! hai mai visto un cazzo?°° E continuò nel suo operato. Dopo essersi abbassato il cavallo al di sotto dei boxer apparve in rilievo un terzo arto che presto avrei dovuto accogliere come un altro dono “del.’’ Dopo una manciata di secondi ripeté la scena e rimase in “made in nature.” Nonostante fossi ormai assuefatta alla vista di pennacchi, ogni volta rappresentava sempre una prima volta. Rimasi immobile come se fossi stata una statua di marmo, una statua che aveva il cuore che batteva all’impazzata e che era arrossita come un peperone. L’illuminazione dentro l’abitacolo era data solo dalle spie degli strumenti e dal riflesso dei veicoli che transitavano, ma sufficiente per scorgere lo strano strumento dove la natura appare con la sua infinita varietà. Alla prova del doppio decimetro sarebbe stata un cazzo come tanti se non fosse stato totalmente ricoperto. Non era scappellato e nemmeno si era preoccupato di farlo. Avevo imparato a leggere il comportamento degli uomini e questo mi sorprese. Ma quello che più mi meravigliò fu la sua curvatura. La punta mirava in alto e girava all’interno, come un arco a tutto sesto. Mancava del tutto la dimensione estetica, quella che risveglia i desideri più reconditi. E in quello era quello che era, e non ci sarebbero stati versi, nemmeno a pensarli di poterseli variare. Per me, una forma nuova ancora da provare, per lui uno strumento originale orgoglioso di mostrare, e, occorre dirlo, era tanto duro che sembrava essere ingessato: era semplicemente osceno. Io lo guardavo senza staccargli gli occhi di dosso, e biascicai. --Cosa credi di fare con quel coso! --Senza preamboli avvicinò una mano tra le mie coscia e con due dita simulò il gesto dell’avanti e indietro. °°Mettertelo qui in mezzo: “in dal tanabus.”°° Seguì un siparietto di battutacce triviali. Il dialetto dette un tocco in più alla durezza delle sue parole. Strillai. --Stai perdendo tempo.-- Mi accarezzò il viso. --Toglimi subito le mani di dosso.-- Sopirò profondamente. Senza mai staccarmi gli occhi di dosso, deluso dalla mia mancanza di disponibilità mi disse. °°Gigugina, gli errori costano cari, vedrai che alla fine°° Lo interruppi, --starei meglio con i pidocchi che con te.-- In verità morivo dalla voglia di provare come sarebbe stato. Il mio atteggiamento doveva essere improprio poiché stava per saltare sulla brandina per montarmi. Io mi rannicchiai sul fianco sinistro. Il posteriore e tutte le parti basse si misero aderenti al bordo della branda fatte di metallo, protetta da esso mi credevo inespugnabile. Con meno superficie esponevo con più sarebbe stato complicato infilzarmelo. Dopo pochi istanti sentii un tintinnio metallico. La protezione che mi proteggeva il deretano era amovibile; come potevo conoscere certi marchingegni? La scaramuccia si stava definendo. Mi afferrò per i fianchi e mi trascino verso l’esterno facendo in modo di avere a sua disposizione tutto ciò che volevo proteggere. Arrotolò la sottana scoprendomi le chiappe. °°Non credi che sia meglio che te la togliessi questa?°° Indispettita, ma rassegnata, senza fiatare me la sbottonai lasciando a lui l’incombenza di sfilarmela, una precauzione utile per non dover rimuovere eventuali scorie essiccate. Trovò qualche difficoltà dal momento che io mi ostinai a mantenere la mia posizione raggrumata. Strusciando le mani sulle mie chiappe nude mi fece un elogio: °°Che bel culo stagno che hai, bello liscio e bello sodo, un gioiello di carne.°° Parole che costavano poco a lui che le diceva e che fecero piacere a me che le udivo. Rivolgendosi al suo socio disse. °°Lo sai che ha un culetto tirato come la pelle di un tamburello.°° Inavvertitamente nella mia, -per loro frivola commedia-, mi ero messa nella posizione ideale, come se volessi dirgli: “inculami e te ne sarò grata.” Il mio didietro protendeva dalla brandina e lui era in piedi dietro di me; improbabile che a lui non insorgesse la tentazione di provarci. Quel culetto che molti mi avevano palpato, altri lo avevano sculacciato, a qualcuno l’avevo promesso, con una mia amica avevo sperimentato carote e cetrioli, (emaciati) a pochi avevo lasciato infilarmi un dito, ma non lo avevo ancora dato a nessuno. Nel gergo, non avevo ancora preso nessun cazzo in culo, di là ero ancora vergine. Anche cretina? Non saprei. Prenderlo in culo avrebbe avuto i suoi fattori di rischio, me lo aveva assicurato l’esperto, il mio ginecologo, e anche mia nonna: “quando sei nel dubbio dì di no!” E in quel momento lo stavo compromettendo. Difatti, sempre rivolto al guidatore disse: °°Cosa dici? le facciamo un clisterino? e poi le mettiamo la supposta, ha un culo che merita!°° Sgomenta, sgranai gli occhi e trattenni il fiato. Di sicuro non si sarebbero preoccupati della ristrettezza del mio pertugio, per cui se avessero optato per quella scelta avrei dovuto scernere tra lo sfintere infranto o portarmi addosso l’incubo di essere sottoposta a critiche implacabili. Ma poi, ##no-o! no-o! accontentiamoci, un clistere è troppo rischioso, imbrodolerebbe dappertutto, soprattutto considerando la sua scarsa collaborazione. magari sarà per la prossima volta. quando saremo in albergo sarà tutto più facile.## Di cosa avrei imbrodolato mi restò oscuro. Io mi ero trasformata in una campionessa di mutismo, stavo diventando davvero brava a non dire niente.5 Dopo pochi attimi avvenne il primo impatto con la nuda carne. Compresi subito di non avere a che fare con un bazzotto che si protraeva in preliminari, questo era passato subito allo strumento basilare, un utensile di lavoro dalla elevata durezza del quale sembrava padroneggiare. La punta del cazzo che avevo dietro mi sfiorò tra le insenature delle montagnole, mi sfiorò il papavero: e anche se l’idea della supposta- che non sarebbe stata quella che passa la mutua- era stata saggiamente accantonata, vi assicuro che lo spaghetto di essere inculata mi causò un effetto allucinante. Ripresi fiato quando la cappella discese, si arrestò tra le valve che si aprirono alla sua prima spinta. Percepii perfettamente il prepuzio ritrarsi, la testa del cazzo scappellarsi e in un gioco tra grandi e piccole labbra infilzarsi perfidamente nell’ambulacro. Un’altra spintarella e si rese conto che il cammino era più impervio di quanto forse si aspettasse. Per quanto potevo, io mi ostinavo a tenere ben strette le cosce contraendo i muscoli così detti “custodes verginitatis.” Quando lui rivolgendosi al suo compare borbottò: °°ma quanto ce l’ha stretta questa “bella”.°° ##Dalle una bella spinta.## Poi ripensandoci: ##Coglione, cosa credevi, non ha partorito due volte come quella che hai a casa.## Poi, dopo una breve pausa. ## e non è nemmeno una di quelle zoccole che sei abituato a rimorchiarti.## Un’altra pausa di riflessione e: ##secondo me non l’hai preparata. ce l’ha ancora secca.## Era proprio così, ero piccata con la figa ancora asciutta. Non ci furono altri commenti.
Mentre col dardo continuava a premermi dentro mi mise due dita sulle labbra e disse: °°Su da brava bambina, apri la bocca.°° E subito dopo,°°bada che se mi mordi te la faccio pagare cara, te lo ficco nel culo a vite e poi lo cavo a chiodo.°° Non accarezzai quell’idea. Forse era convinto che non conoscessi il significato di quella minaccia. Il suo sbalordivo voltafaccia mi causò un altro alert e per un irragionevole istante lo temetti. Ma poi con la conoscenza acquisita sul campo, sapevo che prima di provarci avrebbe dovuto prepararmi, lubrificarmi, e poi fare quello che andava fatto. Io stetti chiusa in me stessa e in un ostinato silenzio ubbidii. Le sue dita pucciarono nell’alveo come biscotti nel latte. Quando ritenne che si fossero abbastanza intrise me le portò prima tra i fronzuti riccioli, poi si mossero con dolcezza sul monticello della vergogna, poi scese più in giù, dentro la crepa, alla ricerca del precursore della gioia dei sensi.
Quando lo trovò lo massaggiò e in me si scatenò la prima schiera di spiriti ardenti. La pressione dal di dietro mi pressava coprendo un largo fronte e ad ogni cannoneggiata guadagnava spazio. Poi si fermava, sostava per qualche momento, come potesse escogitare una strategia per farlo meglio, ma io avvertivo sempre in lui una voglia folle di continuare. Si muoveva dentro, sembrava di voler aggiustare il tiro: in quello si difendeva bene. Grugniva, emetteva ruggiti da spaventare, come se avesse dovuto sputare un rospo. Mi sfuggi un inebriato gemito; che lui raccolse.°° Ti piace è, maialina! ti farò sciogliere come burro nella padella.°° A quella allegra prospettiva il silenzio che mi ero imposta mi sollevò dal non dover fare commenti. Le dita che mi massaggiavano me le ritrovai nuovamente in bocca. °°Tieni, ciuccia la squisitezza della tua spelonca.°° Un sapore salmastro che ben conoscevo. Un aroma che variava dai momenti e dai giorni. A breve, le dita, me le ritrovai dentro appaiate al trapano a percussione che continuava nella sua opera di perforazione. Io adagiata su di un fianco, lui dietro in verticale mi stava prendendo di traverso. Non saprei dire quanto ne avessi dentro, ma l’effetto era strabiliante. Pur essendo ancora agli albori della scopata la mia temperatura era alle stelle, di dentro mi sentivo colare. Alcuni altri movimenti di ributto, di rilancio, di destrorso e sinistrorso e mi ero sorbita tutto il suo cazzo. Seguirono alcuni movimenti di scorrimento su e giù, poi ritrasse la testa del piffero magico fra le piccole e le grandi labbra e si esibì in una toccata e fuga senza pari. Un’altra immersione e seguì un vivace e divertente su e giù. Nella trepidezza che le cose potessero continuare con quella abilità e con quella fantasia che solo lui sembrava avere, l’ imposizione che mi ero prefissata di mantenermi in un clima ostile e non partecipe alla trombata stava vacillando. Poiché può sembrare bizzarro, ma ci sono una infinità di maniere diverse di muovere un cazzo dentro a una figa.
Era altrettanto incredibile la sensibilità che aveva acquisito nel toccarmi i punti più sensibili. Avrei voluto fare qualcosa per meritarmi quella sua praticità tattica e lucidità nel gestire le manovre: un cocktail di esperienza e fisicità miscelati al punto giusto. La leggerezza di un dardo curvo come un cetriolo, dura come il cristallo di Boemia che mi strisciava le pareti e alla quale si contrapponeva la solidità del cemento. Un mix eterogeneo e inedito che mi rivestiva ogni altra superficie, -pungolo compreso- mi rese la baia infuocata. Avrei tanto desiderato abbandonarmi a quel inesorabile piacere, e invece invocai la mia buona stella che mi impedisse di godere. Mi distraevo concentrandomi a dove sarei stata a quell’ora se non avessi accettato così frettolosamente la loro profferta alternativa. Tentai mentalmente di formulare una difesa nei confronti del mio fidanzato col quale tra menzogne e ingenuità avrei dovuto dare dei sensati chiarimenti. Ma era troppo! non avrei potuto resistere a lungo.
Mamma aiutami tu. Fa che non venga. °°Ti piace, è birba, lo sento, e dillo che ti piace l’effetto di sentirti rovistare dentro -in dal cul dal sac- da una calda cappella.°° Il sesso fatto con le parole è totale e intenso, tuttavia dal canto mio, per quanto mi avesse montata bene mi ostinavo nell’arduo compito di mantenere il clima di freddezza e ostilità che mi ero imposta. °°Come vuoi, continua pure a recitare la parte della principessa esiliata, tanto tra poco ti piscierai sotto.°° Parole oscene che hanno scavato nella mia mente rendendo l’amplesso più intenso e lancinante il piacere. Per godere non mi sarebbe mancato nulla, dal mio imbarazzo per l’infradiciamento al suo respiro appagato di chi sta verosimilmente soddisfacendo le sue voglie più latenti. Poi, mi sorprese di spalle mordendomi il collo, una sua mano si adagiò in basso, su di una chiappa, me la palpeggiò, girò rapida sulla pancia e scivolò in basso tra le cosce. L’altra mi raggiunse un capezzolo, lo testò, trovandolo turgido me lo titillò. Sembrava che attorno a me tutto avesse prese fuoco. Compresi che la conclusione non avrebbe ammesso più deroghe. Che fare? I muscoli dalla vagina si misero a corrugarsi autonomamente. Il gladio duro come il metallo sembrava trafiggere le mie carni infiammate dalla esasperata e protratta eccitazione rasentando la sensazione del dolore. Il mio ventre si gonfiò e l’animo si spaccò. Non volevo venire. Lo giuro! Non avrei voluto venire. Non avrei voluto dargli compiacimento. Non volevo perdere di lucidità per quei ineluttabili venti, trenta secondi in cui sarei volata via. Ma che ci potevo fare? Mi riempii la bocca mordendo la pezza del cuscino nel tentativo di soffocare i miei irrimediabili rigurgiti. L’attesa dell’incombente orgasmo mi fece trasalire la pelle nuda. Basta! Pietà! Non resisto più! 6 Come caduta in trance confondevo desiderio e realtà, una schiava che viveva un sogno a occhi aperti. Impossibile resistere! Hooooooo! Un gigantesco sasso cadde nel mio ventre contornato da un barbaglio violento. Cavalloni travolgenti percorsero i miei organi. Inebriata, la mia mente incominciò a vacillare, finché persi di lucidità. L’orgasmo mi esplose dentro facendomi raggiungere la voluttà. Lontano dal mondo reale persi coscienza del passato e del presente. Dopo essere rimasta in un altro pianeta senza averne la cognizione del tempo trascorso, rinvenni adagiata in una culla di dolcezza. In uno stato di assoluto benessere, rifiutando la realtà, poiché da quel mondo di godimento non avrei più voluto andarmene, piano, piano, faticosamente tornai vigile e presente a me stessa.
Nulla sembrava essere cambiato. Ero ancora raggomitolata nella medesima posizione. Il cazzo continuava a troneggiare e come un vessillo morbido affondava di netto nella mia umidità. Molto lentamente scorreva avanti e indietro nella mia arrendevole vagina, ormai aperta, accogliente e rilassata, ridotta a una pozza in cui meramente si immergeva. Il suo proprietario ruppe il silenzio rivolgendosi al suo socio alla guida che fino a quel momento aveva fatto da uditore disinteressato e assente. °°Ei! mi sa che la gallinella abbia fatto l’uovo. Mi sa anche che da quanto è sfatta e scivolosa sia pure venuta.°° ## Bene, bene, mantienimela in caldo che al primo parcheggio facciamo il cambio.## Dopo alcuni secondi con la forza di un editto riprese. ## e sopra tutto non venirle dentro, non voglio troppo splic e splac. e non mi va neppure di sguazzare il cazzo nella tua sbobba.## °°Tranquillo, a venire non ci penso nemmeno: per ora°°
Io facevo ancora la catatonica, con le sembianze di una bambola gonfiabile. Ma diversamente da essa io ero calda, e questo a lui sembrava bastare. La pantomina del su e giù continuò per almeno una quindicina di minuti durante i quali riflettei sulla diversità degli uomini. Alcuni riuscivano a dominarsi padroni del proprio cazzo godevano a loro piacimento. Altri venivano dopo un paio di minuti. Altri prima ancora di mettermelo dentro. La sicurezza di quei due mi ispirava fiducia. Infatti, come fidarsi di un maschio, di qualsivoglia età, a cui non ubbidisce nemmeno il proprio scettro? Mi feci ancora un’altra domanda: avere di fronte un evento che aveva dell’ineluttabile che senso aveva schermarmi? Ormai incominciavo a dubitare della mia strategia per mascherare quello che adombravo. La stavo spettacolarizzando. Improvvisamente mi sentii ridicola. Che senso aveva fare, la diamantina, la sdegnosa dopo essermi infradiciata e dopo aver goduto? E dopotutto di cosa avrei dovuto lagnarmi? Per essere scopata? Tra l’altro bene e a lungo . Era giunta l’ora di abbandonare lo sdegno e entrare nello stato d’animo della preda sedotta che ipnotizzata si sottometteva a loro. Nel frattempo il veicolo si aveva rallentato e si era portato sulla destra. Sostò in un parcheggio che non era un autogrill. (come sempre ho fatto gli eventi li descrivo nel tempo reale: nel limite del possibile.)
Cazzo curvo era ancora dentro alle mie viscere quando captai che il guidatore si era accostato al luogo della copula. Provai vergogna mostrandomi a lui nuda con una coda che mi penzolava dall’intestino. Ancora qualche istante e mi sentii morbidamente svuotata. Ne approfittai per mettermi supina decisa al primo abboccamento di rompere il mio ostinato mutismo. Nella luce sottesa scorsi il primo, quello che mi aveva fottuta da dietro per più di quaranta minuti, ritirarsi da parte soddisfatto ed esultante ancora col cazzo scappellato che puntava verso l’alto per permettere all’altro di prendere il suo posto. Quali fossero le gerarchie era presto per dirlo, ma da quanto ne dedussi erano due avventurieri che lavoravano in copia e che avevano fatto del sesso la loro principale fonte di piacere con la mentalità che una donna va usata e sfruttata. Il caso volle che si erano trovati alla loro mercé una giovinetta che aveva meno della meta dei loro anni e che consideravano una grandissima troia per cui tessettero la tela con maestria a loro uso e consumo per togliersi i loro bramosi capricci. E dulcis in fundo arbitrariamente. Viepiù la fragilità della mia condizione mi aveva resa ancora più appetibile.
Il nuovo, si avvicinò a me, ne sentii appena la sua presenza fisica, mentre l’altro si era infilato solo gli slip e si apprestava a mettersi al volante. Mi era rimasta addosso solo la camicetta che per palparmi le tette mi era stata slacciata, per cui le avevo in parte in mostra come tutto quello che restava del corpo. Egli ancora vestito allungò una mano instradandola tra le mie gambe.
Di riflesso mi acchiocciolai alzando le ginocchia e chiudendo le gambe. Lui mi fece la faccia feroce. Senza buffare allungo la mano sotto, tra le cosce e raggiunse la fessura che trovò grondante e me la solcò accarezzandola delicatamente.
Lo guardavo senza trovare una battuta che scuotesse, che cacciasse via il mio imbarazzo come la polvere da un vecchia pedana. Gli lanciai uno di quegli sguardi che fanno volare l’immaginazione e aprii leggermente le cosce. Quelli furono i primi due segni inequivocabili della mia resa al suo volere. ## Cosa devo fare perché tu sia sempre cosi affabile?## Il ghiaccio si stava per rompere. --Seducimi! e farò tutto quello che mi chiederete.-- Per la prima volta sul mio viso brillò un debole sorriso senza compromettermi troppo, dovevano credere ai miei slanci senza che dovessi mostrarmi particolarmente perspicace. ##Hai deciso di farci contenti?## --Il tuo amico mi ha fatto godere e io voglio ripagarvi assecondando i vostri desideri, non voglio che mi consideriate una ingrata.-- Avevo scelto la tattica giusta? A volte le scelte che al momento sembravano giuste poi si potevano rilevare catastrofiche e quanto più sono complicate le situazioni tanto più diventa difficile quale decisione sia giusta e quale sia sbagliata. Ma che ci potevo fare? Oramai le cose erano andate così. ##Sei meravigliosa.## Disse mentre continuava far scorrere le dita tra la mia fessura bagnata. Salì più in alto, arrivò alla folta peluria. ##Una tosatina io gliela darei## --Non è indispensabile-- ##Tu non segui la moda## --Quando non troverò altre vie di uscita lo farò-- Tagliai corto, avevo ritenuto utile non discutere, non volevo che si chiedessero, fra i tanti motivi possibili, il perché ero diventata così cordiale e loquace. Non era ancora arrivato il momento di mettere a nudo il mio animo. La sua mano continuò la salita seguendo la linea naturale, mi passò sopra il pancino, risalì ancora tra le coppe, salì ancora fino ad arrivare al mio viso. Mi accarezzo le guance, fece scorrere il pollice sulle mie labbra poi mi regalò un bacio, mi tolse definitivamente la camicetta, mi distese sulla brandina e nuda come una venere mi contemplò. ##Sei meravigliosa.## Il camion era già immesso in carreggiata e per me stava per iniziare il secondo round. 7 Lo guardai capendo che mi stava mettendomi davanti ai fatti alla prova. Non era certo la prima volta, ma per me era ancora tutto troppo nuovo, troppo per non sentirmi sopraffatta dall’emozione. Mi venne l’dea di fargli un pompino. ##Che fai, cosa t’è venuto in mente?##
Mi girai verso di lui, il culo mi fece da cuscinetto. Aprii le gambe, mi misi giusto di rimpetto con lui di mezzo che ancora vestito sembrava attendere le mie iniziative. Senza più esitare gli slacciai la cintura, poi abbassai i pantaloni spingendoli giù fino alle ginocchia. Il luogo non era perfetto e lo spazio disagevole, ma in quella circostanza ci adattammo. Rimasto in slip per prima cosa non potetti evitare di soddisfare la curiosità di capire con chi avrei avuto a che fare. Sotto al tessuto si nascondeva un enorme rigonfiamento, ma non aveva la classica forma del manganello teso. L’interesse prese il sopravvento. Abbassai anche gli slip e mi apparve una mazza di considerevoli dimensioni, ma che non sembrava avere intenzioni belliche. Pensai che forse era un uomo freddo e calmo oppure che l’età gli stesse presentando il conto. Non mi scoraggiai, né diedi né feci obiezioni, anzi, la cosa si fece più interessante. Senza alzare lo sguardo lo presi con il pollice e l’indice e lo sollevai. Era caldo, corposo, morbido, pastoso, sarebbe stato un gioiello da cinquanta carati se avesse avuto anche una ruvida rigidezza.
La pratica e l’esperienza mi suggerirono di istigarlo con i classici colpetti, le spintarelle che scoprivano il prepuzio senza scappellarlo definitivamente. Ad ogni leggere e rapida pressione lo sentivo rispondere, stava crescendo come un fungo a vista d’occhio. Dopo neanche un minuto di quella terapia aveva raddoppiato le sue dimensioni dandomi la percezione che se avesse continuato a gonfiarsi avrei dovuto preoccuparmi. Anche se di quella materia non ero proprio una apprendista. Ad ogni mio stimolo l’attrezzo continuava a rispondere in modo completo ed efficace fino a quando lo strumento raggiunse l’assetto per scendere in campo. Scappellato potevo ammirarlo a tuttotondo. I cazzi a prima vista mi incutevano timore, ma non mi facevano più paura. Le dimensioni di quello che avevo davanti mi ricordava il mio primo, l’assoluto, quello che mi aveva tolta dallo stato di irreprensibile innocenza giovanile. La differenza sostanziale stava nella rugosità. Il mio primo si era impresso per la sua grinzosità, come se fosse un arbusto di agrifoglio, quello che era al mio cospetto era liscio come un tronco di baobab, ma sempre un mister uccello, e non in senso metaforico. Una scena splendida, perché un uccello di grandi dimensioni ha una bellezza che fa avvertire alla donna quanto debba essere straordinario farlo volare. Lo afferrai a due mani usando il palmo come strumento di misura. La testa svettante spuntava al di sopra orgogliosa in tutto il suo splendore. Ad occhi e croce raggiungeva i venti centimetri e di diametro non doveva essere inferiore ai cinque.
Fingendomi impressionata dissi, --è troppo! troppo grosso per le mie misure, troppo lungo, non posso, sul serio non posso.-- ##Non puoi cosa? ti assicuro che nessuna si è mai lamentata.## °° Proprio così,°° Aggiunse il tipo che era al volante, poi continuò. °°Quando l’avrei tra le gambe potrai spingere quanto vorrai ma di certo non ce la farai a pisciare. ha! ha! ha!°° --Sempre così porcello il tuo amico?--
##Non farci caso, lui è fatto così## Incominciavo a capire, il porco, come molti altri si identificava e si gratificava col grosso cazzo dell’altro. E l’identificazione era totale. Un comportamento perverso e disgustoso, e la competizione sarebbe stata destina a crescere. Stavo seduta con le gambe aperte ormai pronta all’ineluttabile. Mi prese per i fianchi, mi attirò a se e senza l’apporto di guide, inaspettatamente divenne audace, infilò alla prima mazzata la testa sguainata dell’ariete che trafisse le soffici rughe delle mie parti interne dove trovò una accoglienza meno difficoltosa forse di quello che si aspettava. Entrò in me come un bolide senza casco e senza cinture. Lanciai un urlo: --aahhiioo!!-- ##Scusa, ti ho fatto male?## --Si! ma è ancora tutto a posto, aspetta un po’ che mi passi, ma vacci piano, ce l’hai troppo grosso. e anche troppo lungo per le mie misure.-- Su quel preteso ci marciavo sopra, sapevo quanto gli uomini amassero essere adulati sulle misure e sulla rigidità del loro cazzo. ## Quello che non entra resterà fuori, dov’è il problema?## --Aspetta, stai fermo, farò da me-- Allacciai le braccia al suo collo per avere un punto di appoggio, arrotolai le gambe ai suoi fianchi e mi preparai a lasciarmi andare. Lui spostò le mani dai fianchi e me le portò sotto le natiche, la posizione era migliorata, così lentamente mi lasciai andare giù a piccoli tratti. Fu come se fossi seduta su di un piedistallo con uno pungolo che spuntava e non riuscivo ad avere la percezione di quanto ne fosse entrato dentro e quanto ne restasse ancora fuori, ma compresi di averlo preso in tutta la sua interezza quando la mia inguine appoggiò sulla base. ##Accetta i miei complimenti, te lo sei sorseggiata tutto, e ci sta dentro perfettamente, sei una allieva promettente con delle aspettative##. --Si, quelle di fare un’idiozia dopo l’altra imbarcandomi in avventure di ogni genere.-- Non ero più in preda allo sgradevole sensazione di essere usata all’interno di chissà quelle gioco erotico anche se si erano serviti di me come semplice e ignara esecutrice sfruttando la mia fragile personalità, ma in quel momento giocavamo alla pari. O almeno ne ero convinta. ## Ti piace? te lo senti dentro?## --Si, ci sta bello comodo nel mio stretto corridoio, mi sento piena, me lo sento dappertutto.-- Stava proprio lì la differenza del cazzo grosso, passare forzatamente dalla stretta fessura, colmare il vuoto e riempirlo veramente. Poi proseguii. --E’ fortunata tua moglie ad avere a disposizione una stanga da porno divo come la tua.-- ## Mia moglie? è una stronza. non ricordo l’ultima volta che l’ho scopata, ha in testa solo gli elettrodomestici, la sera è sempre stanca e di giorno non ha mai tempo. è da quando ha partorito che se gli sto alla larga le faccio un gran favore. mi faccio più seghe che chiavate. meglio che non ne parliamo.## Affermazione attinente ai fatti o una panzana inventata e messa lì solo per tacciare la sua coscienza di perfido ingannatore? Non potevo saperlo. Ma il suo resoconto collimava e si sovrapponeva come una fotocopia a quanto asseriva il mio attempato adoratore della propria moglie. Chissà il perché quelle parole mi ricordarono mia madre: si, era meglio cambiare argomento. E la scelta su quale la fece lui. Allungò un dito e lo portò in quella zona di confine che separa i due sfinteri. Scelse quello più bagnato. Lo pasticciò nell’alveo e quando fu ben inzuppato lo spostò alla ricerca di un punto preciso ed esercitò una forte pressione. In un attimo, senza che mi rendessi conto che lo stava facendo davvero, che non ero io a immaginarlo in una delle mie succulente fantasie, mi aveva centrato il buco del culo e me lo stava spingendo in alto, nell’intestino dove saliva senza trovare intoppi. Feci un balzo come se fossi stata punta da una tarantola. --Ahhiiooo! mi hai fatto male!-- Come aveva avuto il coraggio di osare tanto? Dalla mia bocca presero a uscire tutte le parolacce che padroneggiavo, inframmezzate da sfoghi di rabbia, ma egli perseverò. Sentivo il dito pungente rovistarmi nelle viscere e vedevo i suoi occhi iniettati di sangue mentre rideva euforico di avermi infilzato il papavero, mentre io stavo ancora patendo. Poi, non sapendo più cosa altro fare restai immobile raggelata dal dolore, ma subito dopo la sensazione era sparita e mi stupii di quanto mi avesse giovato quella manipolazione. Chiusi gli occhi e mi rilassai curvando la schiena per appoggiarla sullo schienale della cuccetta. Mi sentivo fiacca e le gambe erano diventate pesanti. ##Ti piace così?## --No!-- ##Non ti piace.##8 --No! ripetei.-- ##L’hai mai preso di qui?## -- No! sì! no! ma cosa stai dicendo! sei matto? io non faccio porcate del genere!-- ##Sì o no, deciditi## --Ci ho provato, ma mi faceva troppo male e ho deciso di non farlo, e non lo farò mai più! Capito!-- ##Non ti tagli il monticello boscoso e non lo prendi nel dietro, tu non segui proprio la moda.## --Anche Moana ha la topa pelosa, inoltre non mi interessa quel tipo di moda, e poi, se ne hai tanta voglia di uno stretto pertugio perché non convinci tua moglie a prenderlo -l e i- nel culo.-- Fu un linguaggio volgare, ma l’unico giusto in quella circostanza: che pensasse di me quello che gli pareva. ##Lo fece la prima notte di nozze, proprio così, le ho rotto il culo nella luna di miele. per quella prima notte ha provato la necessità di offrirmi qualcosa di illibato e siccome era l’unico buco che le restava ancora vergine e avendomelo promesso si lasciò inculare.## --E non le ha fatto male-- ##Oohhh sii, altro ché, ma l’aveva deciso e lo fece. Il giorno dopo provò un gran prurito al culo che si protrasse per una decina di giorni. Poi lo rifacemmo e andò meglio, finché divenne un’abitudine.## --E a te è piaciuto?-- ##Da morire, una favola da mille e una notte.## Vero o falso? Troppi interrogativi discutibili. Inventata e somministrata per soggiogare l’innocentina e invogliarla al debutto per dilettare il suo gioiellino. Poteva essere una fantasia immaginata e rivissuta nella sua testa migliaia di volte e diventata paranoica alla quale anche lui finì per crederci. Scettica, memorizzai a fondo le sue circostanziate confidenze per poterle usarle come deterrente in un secondo tempo, in caso di eventuali più o meno eleganti loro ricatti. Incominciavo a capire le differenza sostanziale fra i due lazzaroni, finito il romanticismo il tipo col cazzo grosso cercava nuove emozioni in fughe trasgressive con chi gli poteva procurare migliore soddisfazione, mentre cazzo curvo si identificava nelle dimensioni dell’altro e lo usava come doping per rinvigorire le proprie morbose vessazioni. Le ciance continuarono. --Lo sai che le donne quando entrano in sala parto infermieri e medici la prima cosa che controllano è se hanno il buco del culo rilassato? così, solo per una indiscreta curiosaggine, me lo ha spifferato una mia amica che fa l’infermiera all’ospedale di Carpi. che vergogna. io in sala parto non voglio entrarci mai.-- ##Ma tu il culo ce lo hai ancora inviolato, almeno a quanto mi hai appena rivelato.## --Infatti non sarà per quello, il ginecologo mi diagnosticato una strettoia, una specie di mandorla stretta, per cui in caso di parto sicuramente dovrebbero effettuarmi il taglio cesareo. io non intendo mai avere figli! -- ## Ma, allora sei difettosa?## --Solo per quanto riguarda il parto, una imperfezione che col tuo grosso cazzo, se ti impegni, potresti percepirla anche tu.-- ##Non mi pare, per me sei perfetta## --Toglimi il dito dal culo che mi metto di traverso.-- Lo tirò fuori. Lo strappo mi fece fare un salto degno di una trapezista. Il lubrificante naturale era stato assorbito e il dito si era incollato. La sdrucitura sembrò m’avesse cavato il budello. Dopo una breve pausa mi calmai. --Adesso ritira il cazzo e fermati con la cappella a metà canale.-- Egli seguiva diligentemente le mie istruzioni. --Adesso cavalo di poco poi vai avanti e indietro a piccoli tratti. così, così, lì! lì dovresti sentire una specie di tacca, la cappella dovrebbe rimanerti come arpionata mentre lo tiri indietro.-- ##Sì, adesso la sento, heii, ed è anche piacevole.## Poi continuò con una propria congettura. ##Maaa! allora ne deduco che prendi la pillola, quindi ti posso venire dentro.## --No, non mi pare una buona idea, l’hai appena proibito al tuo compare, troppo splic e splac, e poi ci sono un sacco di malattie trasmissibili.-- ## Dai! allora ti vengo dentro, però nel culo! ci proviamo?## --Non puoi entrare da lì, che ci guadagnerei? per me sarebbe la prima volta e prendere nel sentiero non ancora battuto il tuo cazzo che supera la misura ordinaria, poi mi pentirei. Mi faresti versare lacrime di sangue.-- ##No, di questo non ti devi preoccupare, non devi fasciarti la testa prima del tempo, preoccuparti è contro produttivo, e poi è ora che tu impari## --Imparare che cosa?-- ## A prenderlo anche nel deretano, ti do la mia parola che non accadrà niente di cui dovrai pentirti, desidero solo fare qualcosa di buono per te: allora ti decidi?## --No! sono assolutamente contraria a quella attrattiva, la tua insistenza è inutile e priva di ogni prospettiva di successo. lo conserverò per una occasione particolare come ha fatto tua moglie.-- Con quelle recise e lapidarie asserzioni le ipotesi di rompermi il culo e di venirmi dentro furono definitivamente accantonate. Il mio interlocutore per tutto il tempo del nostro riservato colloquio non era stato statico ma mobile, in continuo moto d’entrata e uscita: bisogno suo per mantenere il palo retto e dono mio per mantenermi, per così dire, “in calda”. La porta principale dello scrigno avvampava come la bocca di una fornace e il suo calore si propagava per tutto il corpo e gli effetti diffusi si sparpagliavano in ogni sua parte mantenendo in circolo i fede ormoni. Il tempo delle prefazioni era scaduto e i meccanismi si rimisero in movimento. Mi adagiai e alzai le gambe per mettermi in una posizione più agevole. Capendo la mia necessità, me le afferrò, me le fece volare sulle sue spalle, poi mi artigliò le cosce e incominciò la vera trombata. Il cazzo si insinuò negli alti e nei bassi con prepotenza riempiendomi completamente. Mi scorreva dentro, avanti e indietro in tutta la sua lunghezza. A volte lo muoveva lentamente per poi dare brusche accelerate. ## Puttana!## Un sussurro che sembrò sfuggirgli, ma in tono affettuoso. --Non sono una meretrice, non ho mai chiesto un soldo a nessuno!-- ##Ma un po’ vacca sì che lo sei## Non ribadii: come dargli torto? Io che aspiravo a sinonimo di candore e rettitudine, liberamente e senza rigore mi ero lasciata dominare dalla carne. Avevo e stavo facendo le corna tutti, amante e moroso, perfino i miei valori e le mie virtù. Mi sentivo un trofeo da caccia, una preda che attirava i predatori. Oramai le cose erano andate così. Ma che ci avrei potevo fare? Staccò una mano da una coscia e me la mise tra le gambe, sul caposaldo della virtù. Emisi un lungo mugolio: hhooo! Il cazzo andava fluidamente su e giù lungo il canale della profonda fessura scivolosa come se facesse ginnastica, ininterrottamente per almeno una quindicina di minuti con una tale velocità che non sarei mai riuscita a contare le sferzate dando prova di una straordinaria capacità di concentrazione e coordinamento. E temevo che con la sua ragguardevole lunghezza non avrei potuto reggere le ultime violente bordate di quando sarebbe arrivato all’acme del piacere. Ero intenzionata e pronta a tutto e ben lieta di soddisfare le sue esigenze muovendomi in armonia per esaltare i suoi sforzi, e -credetemi-, con venti centimetri di grimaldello ben intrufolati nella toppa avevo poco da sterzare o da scodinzolare. Da un punto, un luogo non ben identificato del mio corpo sembrava arrivare da molto lontano una scia di piacere che sembrava montare come la crema pasticcera. Quel tipo di piacere che dovevo fare molta attenzione a non lasciarlo svanire. Quel piacere che si era prodotto e che ora andava alimentato finché il suo effetto non fosse vanificato. Sembrava scaturire dalla testa, dai piedi, dall’ombelico. Un gusto che andava oltre la fisicità e si univa ad altre sensazioni create nel laboratorio della mente. L’uomo dal signor cazzo non sembrava il tipo da avere un improvviso attacco e sganciarsi, ma con tutta la passione cruenta che mi scorreva in corpo le mie contrazioni vaginali forse l’avevano stimolato e a giudicare da pause molto significative e dalla contrazione dei suoi muscoli il punto irreversibile per lui stava implacabilmente avvicinandosi proprio quando in me lo spazio tempo stava per dissolversi. Emise un suono strozzato, e io desideravo liberarlo da quel dolore. --Hooo!-- Lo incitai. --No! ancora! ancora! non fermarti!-- --ti prego-- --continua!-- ## E’ troppo tardi, ti sborrerò dentro!## --Sì! si! lo voglio! continua! cosa vuoi che faccia per così poco!-- mi spalancai per ricevere tutto quello che aveva da darmi. Lui mi premiò entrando di almeno un altro centimetro, e quindi scivolò indietro per poi tornare alla carica. ##Tho! tho! tieni! ti sboro dentro brutta troiaaa.## Seguirono le ultime stoccate alle quali io accordai con successivi: ahhiioo! dai! dai! ho! ho! ho! mi fecero perdere l’ultimo briciolo di controllo. 9 Abbandonai il presente per collocarmi in uno spazio non ben determinato dove non mi sentivo e non mi riconoscevo. Un lampo fece squarciare il cielo in una luce splendente talmente luminosa da diventare buio. Seguì un effetto di grande liberazione. Quando tornai in possesso delle mie facoltà, stavano ancora languendo gli ultimi sibilanti grugniti. Gli orgasmi eravamo arrivati all’unisono, cosi ravvicinati da amplificarsi di intensità. Il cazzo si flocculò nella figa fino ad esaurire l’ultima goccia, poi esausto, sudato come un cavallo dopo una corsa al galoppo e soddisfatto lo ritrasse. Scioccato, ruppe il concerto l’autista dal cazzo curvo. °°Avete finito voi due? mi avete fatto gonfiare i coglioni che se non li svuoto alla svelta mi scoppierà il cazzo.°° Poveretto, non aveva tutti i torti a lamentarsi. Stremata, ma liberata dalle grinfie del farfallone, avvertii che anche cazzo curvo mi avrebbe presentato il conto e chiesto la razione che di diritto gli aspettava. ##Fermati al prossimo auto grill perché dovremo rifocillarci.## Disse mister cazzo. Erano ormai parecchie ore che eravamo in viaggio e io sentivo di avere alcune, quasi impellenti esigenze da soddisfare.
Il grosso uccello ormai soddisfatto stava per essere sottoposto a una operazione di pulizia. Appuravo che -seppur floscio e infangato le sue dimensioni non erano granché modificate: solo che penzolava come un salame da una pertica. Finita l’opera di detergenza il suo proprietario si riassestò e si accostò al sedile dell’autista dando inizio a una conversazione alla quale io, abbandonata a me stessa, sembravo essere esclusa. Confabulavano a bassa voce, come se volessero spartirsi un segreto, e la cosa non mi faceva presagire niente di buono. Ero rimasta in silenzio, poi domandai sospettosa, perché, consideratela pure una stranezza, ma andavo fuori di testa quando mi sentivo estromessa. --Non ho intenzione di immischiarmi, né voglio assolutamente infrangere il fragile equilibrio che si è stabilito tra noi tre, per cui se non vi dispiace vorrei far parte della vostra discussione velata da tanta aria di mistero.-- ##Hai ragione, ascolta e cerca di non meravigliarti di niente.## Avevo intuito che un capitolo si era chiuso e una nuova partita si stava aprendo. Sono tutta orecchi e pronta a tutto.-- (Presa dalla totale frenesia narrativa la mia cronaca continua su verità realmente vissute.) ##Quando tra poco ci fermeremo abbiamo pensato che sarebbe opportuno che tu restassi a bordo del camion.## Era troppo poco per comprendere ciò che volevano comunicarmi. Rimasi in ascolto totalmente disaminata. ##Ci saranno altri come noi nell’autogrill, uomini di varie nazionalità e non sempre affidabili e alla ricerca di una femmina, capisci quello che voglio dirti?## --No- non capisco, il tuo discorso è ambiguo, spiegati senza tante circonlocuzioni, perché quando non capisco qualcosa mi smarrisco.-- ## Bene, ok, sarò più chiaro. certi uomini passano la vita sulla strada e nelle soste cercano puttane. ne hanno bisogno, -capisci-?## Come se volesse giustificarli. Pausa. ##le prostitute non mancheranno la dentro, ma la richiesta per quel tipo di servizio e stramba e vedendoti insieme a due uomini, potresti essere scambiata per una di esse: ma ancora fresca. o, ancor peggio, penserebbero che sei una autostoppista squattrinata per cui ti avvicineranno con proposte oscene e noi avremmo un bel da fare, -se consideri la difficoltà delle lingue- a fargli capire che tu non lo sei. quelli sono spesso gasati e se la faccenda la capiscono male potrebbe finire a cazzotti. a meno che tu non voglia correre questo rischio. come hai detto prima sei maggiorenne e ti senti libera di darla a chi ti pare: e magari sarebbe anche una avventura redditizia, ma tieni presente che noi non potremo venire in tuo soccorso.## Aggiunse l’altro, continua.
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